Il mistero del rosmarino

il diario di Isabella Visetti

Malgrado il mio scarsissimo pollice verde, che non è migliorato nemmeno in queste settimane di quarantena, in giardino ho una meravigliosa pianta di rosmarino. Sì, lo so, cresce con facilità e non ha molte pretese, dunque il merito non è mio, è tutto suo, eppure non posso fare a meno di avere un moto di orgoglio ogni volta che mi accingo a raccogliere qualche rametto per insaporire il ragù o le patate al forno.

In questo periodo l’ho fatto più spesso, perché mi sono dedicata alla cucina con più tempo e dedizione del solito. E nel trafficare ai fornelli, ho pensato a me bambina e a mio papà, cuoco sopraffino e uomo dalle idee ben definite, che mi mandava a prendere qualche rametto di rosmarino nell’orto. 

La richiesta era sempre quella: “Mi serve il rosmarino, su, veloce”, mi diceva con tono secco e perentorio. Io eseguivo alla svelta, ma il mazzetto che consegnavo non andava mai bene: i rametti erano troppi, la volta dopo erano troppo pochi; un’altra volta avevo strappato quelli in cima, i più giovani; la successiva, quelli più vecchi, meno aromatici e magari già con il fiore. Insomma, la raccolta non era mai corretta e a nulla serviva sbirciare sul bancone della cucina per vedere cosa stesse preparando per ricordarmi la dose e la qualità “giuste” per le orate o quelle per il risotto profumato al rosmarino. 

Nel tragitto verso l’orto, peraltro breve, mi arrovellavo su numero e natura dei rametti, maledendo mio fratello che la faceva sempre franca, abilissimo a girare alla larga quando mio padre iniziava a distribuire compiti insindacabili. Un giorno, non so se affranto dal mazzetto di rosmarino che avevo in mano o forse con più tempo e pazienza del solito, mi prese per mano e mi portò davanti al cespuglio immenso di rosmarino, piantato anni prima da mio nonno e mi indicò uno per uno i rametti che avrei dovuto raccogliere, con aghi non troppo teneri, ma neppure troppo induriti, non in cima alla pianta, ma quelli più in basso, lungo una circonferenza immaginaria che abbracciava a metà altezza il viluppo aromatico.  Ricordo che sorrisi e feci un respiro profondo, ma davvero non capii cosa avesse di diverso il mazzetto che avevo colto poco prima, rispetto a quello che mio padre decise di usare per la marinata in preparazione. La sua idea, quella che lui aveva bella chiara in testa, per me rimaneva un mistero. Non di quelli essenziali, ma sempre imperscrutabile nella sua filigrana preziosa di sapere che non riuscivo ad afferrare o a ritenere determinante.

In questi giorni strani, ho battezzato “il mistero del rosmarino” la sensazione di ammirazione mista a personale inadeguatezza, che provo verso chi ha visioni chiare su tutto, su qualsiasi argomento sia esso banale e trascurabile o fondamentale e decisivo. Mio padre era uno così, aveva un pensiero nitido e preciso sulle cose che riteneva importanti. Non solo sulla composizione dei mazzetti di rosmarino. Solo che questi pensieri si era condannati a intuirli, lui non si dava la pena di mettersi lì a spiegare qualcosa che riteneva ovvio. Sarebbe però bastata una domanda e il coraggio di sostenere la sua irritazione o, nei casi gravi, una sfuriata solenne. Crescendo l’ho capito: lui non è cambiato, tempra ed epoca forse non glielo hanno permesso, ma io ho imparato a chiedere, a mettere in discussione ciò che non condividevo, a convivere con i miei dubbi, le mie oscillazioni, le mie sfumature, imperdonabili per mio padre, come il mazzetto di rosmarino “sbagliato”. Di rametto in rametto, tra la cucina e il giardino, pensavo che nella fase 2 non avrei più avuto questi patemi, mi sono illusa di uscire dal confinamento diversa, senza tentennamenti ridicoli, capace di scrollarmi di dosso il mistero del rosmarino, con tutta la non-idoneità che porta con sé, insieme all’esplosione di meraviglia verso chi, ai miei occhi, appare ben centrato e definito. Non ci sono riuscita, forse sarebbe stato troppo perdere un tratto caratteriale così importante. E oggi, mentre strappavo alcuni rametti e me li strofinavo sulle mani per sentire meglio il loro odore, ho pensato che la verità o un’ipotesi di verità sulle cose, quella che tutti cerchiamo continuamente e instancabilmente, vola tra “vecchi” saperi archiviati e “nuovi” saperi da conquistare, si muove tra idee ben possedute e idee in divenire, nella magia degli incontri tra persone che le sanno già e quelle che le intuiscono, nella collaborazione tra mani che vorrebbero ricevere mazzetti di rosmarino perfetti e mani che riescono ad allungare solo mazzetti di rosmarino imperfetti.