Un 1° maggio amaro

– il diario di Bianca Maria Martellini – 


Venerdì 1 maggio 2020. Un primo maggio di quarantena, un primo maggio con tante ansie e preoccupazioni per tutte le lavoratrici e i lavoratori del mondo. In Ticino con una preoccupazione in più, già perché da ieri sappiamo che l’11 maggio i nostri figli torneranno a scuola, ma solo per poche ore alla settimana, con ingressi e uscite scaglionate, senza mensa e con la necessità di gestire un trasposto casa – scuola che già per gli adulti presenta problemi di utilizzo in sicurezza.

Oltre alle preoccupazioni sulle conseguenze sulla salute di questa decisione derivanti dalla inevitabile mancanza di certezze scientifiche su questo virus, le lavoratrici e i lavoratori stanno iniziando a chiedersi come riuscire a gestire le loro attività lavorative in questo contesto di scaglioni e assenza di servizi extrascolastici. Già perché se si fanno i salti mortali per arrivare dappertutto in una situazione ordinaria, in questa situazione emergenziale tutto si fa tremendamente più complicato. Certo, questo è il risultato di una visione della società in cui le madri stanno a casa mentre i padri lavorano, una suddivisione dei compiti molto comoda per lo Stato che non deve preoccuparsi di adottare misure di conciliabilità particolari. Peccato che la nostra società non sia più così da tempo, oggi vi sono molte famiglie monoparentali, in cui il genitore affidatario lavora così come tantissime famiglie in cui si lavora in due. 

Sappiamo, i dati ce lo ricordano continuamente, che il lavoro femminile è più fragile, meno pagato, spesso svolto in forme precarie e con un’elevata percentuale di part-time. Non è pertanto difficile immaginare su chi ricadranno le principali conseguenze della mancanza di attenzione sul tema della conciliabilità lavoro famiglia. I più fragili in circostanze come queste sono quelli che pagano il prezzo più elevato e le donne rischiano di essere chiamate ancora una volta alla cassa dei sacrifici.

Un primo maggio particolarmente amaro dunque per le lavoratrici ticinesi. Peccato. Sì peccato, perché non possiamo fare a meno di pensare che un approccio che avesse tenuto in conto il tema di genere avrebbe prodotto anche in questo caso risultati diversi. Peccato anche perché il lavoro femminile è una risorsa straordinaria, lo abbiamo visto negli ospedali, nei supermercati, nelle università, nei centri ricerca, ma è una risorsa poco valorizzata e considerata. 

Lo abbiamo visto e denunciato a più riprese, anche con la nostra iniziativa ≠ripartire dalle donne, quanto scarsa per non dire nulla sia stata la presenza delle donne nella gestione della crisi e quanto sarebbe opportuna la nostra partecipazione ai tavoli del post crisi. 

Alcuni hanno ignorato questa richiesta sul presupposto che dopo tutto c’è ben altro a cui pensare, che ci sono altre categorie fragili cui dedicare attenzione, forse perché le donne, in qualche modo, se la cavano sempre. 

In tanti hanno auspicato che questa situazione imprevista e dirompente potesse portare a dei cambiamenti positivi. Noi lo ribadiamo ad alta voce: senza la visione delle donne, senza una partecipazione attiva ai processi decisionali in cui i nostri problemi e le nostre proposte siano ascoltate tenderemo a riproporre sempre le stesse vecchie soluzioni. 

E invece oggi più che mai c’è bisogno di cercare soluzioni innovative, di confronto e di coraggio. E alle donne il coraggio non manca.

Buon 1° Maggio