Le parole della vicepresidente
Per chi come me si batte per la parità, per le mie colleghe nella FAFT e per molte altre donne femministe, sabato 7 novembre è stato un grande giorno, di quelli che segnano uno spartiacque e diventano una pietra miliare nella narrazione universale sul tema dell’uguaglianza fra donne e uomini. Senza temere l’uso di espressioni enfatiche, l’elezione di Kamala Harris a vicepresidente degli Stati Uniti rappresenta un punto di non ritorno, come lei ha ben detto nel suo “discorso della vittoria”: “Sono la prima a ricoprire questa carica, ma non sarò l’ultima”. Parole che mi hanno scosso dal “malessere melmoso” in cui mi trovavo (la definizione è di un amico scrittore) in questo quasi secondo confinamento.
Ma le prime parole di Kamala Harris da vicepresidente eletta sono state “We did it”, “ce l’abbiamo fatta”, in un breve video sul suo profilo Twitter in cui è al telefono con Joe Biden. Una frase-slogan, che buca e mi strappa dallo sconforto della seconda ondata: c’è il noi, c’è il riconoscimento di avere fatto qualcosa insieme, c’è quel sentimento di condivisione che è tanto caro a noi donne. Infatti, poco dopo, c’è un suo altro tweet che dice: “We did this-together”, “abbiamo fatto questo insieme”. Insieme al suo elettorato, ma anche insieme a Biden: insieme una donna e un uomo, una giovane e un anziano, una democratica progressista e un democratico più conservatore, un’attivista e un resiliente, con i loro diversi bagagli di esperienza e di competenza che, uniti, hanno reso possibile la sconfitta di Trump. È la forza dell’inclusività, dove il risultato non è la semplice somma delle singoleunità, ma va ben oltre, dando forma e sostanza a quello che si chiama vantaggio competitivo e che oggi dovrebbe essere un faro anche per i partiti e per la politica di casa nostra.
Ormai sorrido, il malessere non è sparito, ma è cacciato in un angolo dal flusso di notizie che seguono alla vittoria di Biden. Le parole del discorso di Kamala Harris mi risuonano familiari, concetti che chi si impegna per la parità conosce bene: l’importanza dell’esempio, del “role model”, per ogni bambina e ragazza che questa sera è davanti alla tv, o meglio su Instagram, a seguire questa elezione presidenziale indimenticabile, l’ispirazione che può nascere in loro ascoltando le parole di Kamala Harris, quando dice che ognuna di loro potrà fare quello che ha fatto lei, che gli Stati Uniti tornano ad essere il paese che offre una possibilità a tutte e tutti. Forte e persuasivo anche il suo invito alle giovani a non rimanere impigliate in quello che gli altri vedono in loro, solo perché non hanno ancora visto qualcosa di diverso e di sperimentare una propria via, che rispecchi le loro autentiche aspirazioni, quello che loro vedono dentro di sé. Che detto con meno poesia, significa sbarazzarsi dalle etichette dei pregiudizi di genere e dalle rappresentazioni stereotipate.
Il sorriso si allarga ancor di più: per noi sul fronte della parità queste parole non sono nuove, ma ora sono dette sul palcoscenico del mondo, su tutte le reti televisive, su ogni mezzo di comunicazione, da una persona che ne incarna principi e azione. Il successo elettorale di Kamala Harris celebra l’impegno dell’attivismo per le minoranze e le fasce di popolazione discriminate, dà un senso nuovo alle rivendicazioni di giustizia e parità, al potenziale di un approccio inclusivo, al valore di tutte le donne in politica, alle risorse e alle competenze femminili così importanti per la democrazia e così fondamentali per decisioni efficaci a favore dell’intera collettività.
Ormai il sorriso è stampato sulla mia faccia: sì, Kamala Harris fa e farà la storia, anche in Europa, anche in Svizzera. A me ora, nel mio piccolo di donna attiva in un’associazione femminile, basta la nuova linfa che sgorga da questa elezione, che alimenta il sogno della parità di fatto, un sogno ambizioso, come auspicato dalla vicepresidente, un’energia insperata che allevia la fatica che spesso questo impegno porta con sé. Per fortuna ci sono vittorie, alcune epiche come questo buco nel soffitto di cristallo della Casa Bianca, altre meno globali e apparentemente più trascurabili, che ci fanno dire “ce l’abbiamo fatta”. Parole vibranti, simboliche, potenti.
di Isabella Visetti, giornalista