Capitale Umano: dalla teoria alla pratica

Contributo di Marialuisa Parodi, Plusvalore (RSI), 14 gennaio 2021

Un’università canadese ha pubblicato uno studio sull’aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro in chiave di relativo apporto di capitale umano e sua misurazione.

I trend nella formazione femminile delle ultime quattro decadi sono forti e decisamente più marcati di quelli maschili: l’accelerazione nei diplomi e lauree conseguiti, insieme alla scelta di percorsi sempre meno tradizionali e verso settori più produttivi, ha progressivamente alimentato nelle donne l’incentivo ad investire in capitale umano, oltre che le relative aspettative di partecipare di più, e più a lungo, al mercato del lavoro retribuito.

I metodi comunemente usati per quantificare il capitale umano si basano sull’osservazione dell’evoluzione dei salari e delle competenze lavorative. Per entrambi, lo studio canadese riesamina i risultati finora ottenuti, dimostrando che le discriminazioni di genere, in particolare le disparità di opportunità di crescita professionale e di salario, che assumono molteplici sfaccettature e variano nel tempo, possono avere un effetto distorsivo importante sulle misurazioni.

In linea con la letteratura esistente, lo studio conferma un generale trend di convergenza tra i modelli maschili e femminili di partecipazione al mondo del lavoro e il contributo crescente del lavoro femminile alla creazione di capitale umano. Ma si distingue per la costruzione di un’ipotesi forte rispetto al fatto che il calcolo abbia finora strutturalmente sottostimato questo contributo e, con esso, l’apporto femminile alla crescita del PIL a partire dal dopoguerra.

Tra i suggerimenti per nuovi approcci metodologici di misurazione del capitale umano, gli autori indicano la possibilità di quantificare le differenze di genere anche dal punto di vista della diversa dotazione di partenza e delle diverse modalità di sviluppo delle competenze.

Questo passaggio ricorda un’altra ricerca, questa volta del Fondo Monetario Internazionale, che nel 2018 provò che lavoro femminile e maschile non sono perfettamente sostituibili, ma complementari. Proprio per la diversa dotazione di competenze e abilità di uomini e donne, il mix di genere nella forza lavoro incrementa la produttività ed è fattore distinto e aggiuntivo di contribuzione alla crescita.

Prendere coscienza del valore economico del lavoro femminile non è faccenda solo teorica, di questi tempi, ma di cruciale importanza per interpretare i drammatici impatti pandemici sugli impieghi delle donne e per valutare in modo oggettivo le relative minacce strutturali sulla crescita.

Il conforto teorico serve semmai a rafforzare gli indirizzi delle misure post-Covid e ad accelerare i progressi in ambito conciliabilità famiglia-lavoro, gli unici capaci di liberare in fretta preziose risorse di capitale umano.

A proposito di attualità, un auspicio va rivolto necessariamente al Gran Consiglio che, a fine mese, potrà scrivere un capitolo fondamentale di questo libro, dando il via libera al congedo parentale di due settimane: una misura praticamente a costo zero per le aziende, ma di enorme portata per la salvaguardia e la più efficiente allocazione del capitale umano.