Alle Hawaii, parità di genere e difesa dell’ambiente per il dopo COVID-19

Plusvalore” (Rete Uno, RSI) di Marialuisa Parodi, 14 maggio 2020

Non è una novità che gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU enuncino il numero 5, relativo all’eliminazione delle discriminazioni verso donne e bambine, come propedeutico al raggiungimento degli altri: giustizia, crescita inclusiva, benessere diffuso, dignità del lavoro, rispetto per l’ambiente. Non è neanche una novità che le crisi climatiche del pianeta, come tutte, del resto, abbiano impattato più duramente le donne; pensiamo allo sfruttamento agricolo in ottica di mercato o alle migrazioni.

I primi studi sulla diversa percezione che uomini e donne hanno del tema ambientale risalgono a oltre vent’anni fa; che siano bambine o scienziate, le donne sembrano più inclini a far proprio l’impegno per la tutela del pianeta, intravedono un più ampio ventaglio di rischi e ne temono maggiormente le ripercussioni. Certo è che i paesi con più elevate percentuali di donne in Parlamento sono anche più avanzati in tema di politica ambientale e più virtuosi nella ratifica dei relativi trattati internazionali. Il cambio di Amministrazione americana ha causato una battuta d’arresto nel dialogo globale sul clima, rafforzando la teoria secondo cui sessismo e degrado ambientale si nutrano l’un l’altro. Alcune teorie*  hanno accostato lo sfruttamento della natura e quello del lavoro femminile, come facce della stessa medaglia. L’“onda rosa” e l’“onda verde”, insieme, hanno caratterizzato gli ultimi turni elettorali un po’ ovunque, a testimoniare, d’altro canto, che l’aspirazione alla parità di genere e alla cura del pianeta sono guidate da forze simili.

Nel bel mezzo della pandemia, quando le donne tenevano in piedi famiglie, sanità ed economia e il lockdown umano graziava l’aria, l’acqua, gli animali e le piante del pianeta, il segretario generale dell’ONU Guterres avvertiva che lo sforzo della ripresa avrebbe dovuto mettere al centro gli interessi di donne e bambine. Appello perlopiù inascoltato: le misure globali finora annunciate continuano a dare per scontato, e fanno enorme affidamento, sul lavoro gratuito e sul sacrificio delle donne. Con qualche eccezione, come il piccolo angolo di mondo che è riuscito a catturare l’attenzione mediatica internazionale, segno che le riflessioni sono vive e non disposte a lasciarsi mortificare dalla fretta di tornare nella ruota del criceto. Le Hawaii, stato federato americano, ma anche arcipelago naturale minacciato dai cambiamenti climatici, dallo sfruttamento militare e turistico e dall’ingordigia dell’industria del lusso, non vuole che a pagare il costo della ripresa siano le donne, poiché ha capito che non si può riorientare il futuro senza prima colmare le disparità. Il Piano Femminista per la Ripresa Economica da Covid-19 è rintracciabile online e si legge d’un fiato: cristallino, pragmatico, corredato da proposte concrete e, soprattutto, centrato sull’evidenza del legame tra eguaglianza di genere, sostenibilità, tutela dell’ambiente e benessere economico e sociale.

Un’evidenza che speriamo riesca a germogliare in molte altre azioni politiche e continui ad animare i propositi del Movimento dello Sciopero per il Clima. A questo proposito, un grande in bocca al lupo ai ragazzi e alle ragazze di RadioLime, che il 15 maggio animeranno la piazza virtuale dello sciopero con una diretta di 12 ore.

* Per esempio: Norgaard, K e York, R. “Gender Equality and State Environmentalism.” 2005.

.