Ritorno all’invisibilità delle donne
di Luigi Maffezzoli, “L’Osservatore Magazine”, 4 luglio 2020
Ci siamo accorti di loro restando a casa. Le abbiamo viste fare cose che solo immaginavamo quando uscivamo la mattina per andare al lavoro, anche se naturalmente sapevamo che sulle loro spalle gravavano lavori domestici, cura dei figli e persino una professione – quando ce l’hanno – anche se sottopagata.
Poi, i tre mesi di segregazione pandemica ci hanno improvvisamente aperto gli occhi. Mentre anche noi, come loro, lavoravamo da casa collegati con i nostri computer, le abbiamo finalmente viste seguire le lezioni dei figli appena chiuso il collegamento con gli insegnanti; preoccuparsi di gestire le relazioni, i tempi morti, preparare colazioni, pranzi, merende e cene, rifare letti, fare bucati e stirare nelle pause delle loro attività professionali in remoto, davanti al computer, magari condiviso con i figli (perché il nostro è sacro e non va toccato).
Certamente le abbiamo aiutate. O meglio, ce lo dicono le statistiche, la metà di noi le ha aiutate. Volenterosi, ci siamo dati da fare per sistemare la casa e suddividerci i compiti. E questo ci ha aiutato a comprendere ancor meglio ciò che per le donne è quotidianità, mentre per gli uomini è l’eccezione.
Non tutte loro però hanno dovuto restare chiuse in casa, sobbarcandosi il solito, consueto, doppio o triplo lavoro di casalinga, madre e lavoratrice. Abbiamo letto anche delle donne al fronte: infermiere, cassiere, addette alle pulizie. Eroine, sono state chiamate. Le abbiamo pure applaudite dai balconi e dalle finestre. E ci siamo sentiti bene. Ma ci siamo chiesti come si sono sentite loro?
L’unico posto dove forse non le abbiamo mai o raramente viste è in televisione, durante le conferenze stampa del governo ticinese o dell’amministrazione federale, oppure durante i dibattiti con gli esperti che indicavano comportamenti e soluzioni. Lì, no. Politici, strateghi, esperti e consiglieri erano tutti coniugati al maschile.
Ora che siamo rientrati nella fase tre della quasi normalità, tutto sembra essere ricominciato come prima.
Al personale infermieristico, sottopagato e con un carico di lavoro massacrante già nell’ordinarietà, divenuto impossibile durante la crisi pandemica fino ad arrivare a dodici ore di lavoro al giorno, è stato risposto che per ora le loro rivendicazioni non potranno essere prese in considerazione. E così si tornerà a non formare il personale necessario, importandolo dall’estero; ad assistere all’esodo di infermiere stremate che al settimo anno abbandonano gli ospedali; a rimettere nel cassetto l’iniziativa “Per cure infermieristiche forti” con la quale si chiede semplicemente di riconoscere questa professione come fondamentale e non ausiliaria, e che il tempo passato col paziente non sia misurato col cronometro ma considerato tempo di cura. È come se nulla fosse successo, in questi mesi, nel mondo sanitario.
Nel mondo dell’economia, invece, per risolvere la crisi di questi mesi, le donne sono state le prime ad essere licenziate, in un Cantone come il Ticino dove già il loro salario è del 15.8% inferiore a quello degli uomini, che a loro volta prendono il 30% in meno rispetto al resto della Svizzera (completate voi il calcolo per sapere quanto le donne in Ticino prendono in meno rispetto al salario maschile svizzero). Già sembra superata la legge sulla parità salariale entrata in vigore da poche ore e giustamente messa in discussione dai sindacati Travail.Suisse e OCST/SYNA che hanno lanciato una piattaforma de nominata “Respect83.ch”, in riferimento all’articolo 8 capoverso 3 della Costituzione svizzera che vieta la discriminazione tra uomo e donna.
A completare il quadro, la recente conferma che laddove si esercita il potere, le donne non ci sono. In Svizzera continuano infatti ad essere sottorappresentate ai vertici delle grandi aziende elvetiche. Ci sono addirittura aziende quotate in borsa, come Swisscom, Swiss Life, Sika e SGS, che non hanno donne nella loro direzione. Secondo studi di società di consulenza e reclutamento del personale (Russell Rey nolds o Heidrick & Struggles), la quota di donne nei consigli di amministrazione delle società incluse nell’indice dei titoli guida SMI è del 28%. E in Europa, la Svizzera è infondo alla classifica, dietro Italia, Germania e Francia.
La politica non è da meno. Alle oltre 1.300 persone che, firmando una petizione della FAFT (Federazione delle associazioni femminili) hanno chiesto al governo ticinese un’adeguata presenza femminile ai tavoli per la ripresa e la ricostruzione economica del Cantone dopo il disastro Covid19, il Consiglio di Stato ha risposto in modo talmente generico da apparire vergognoso: per giustificare che non lo farà, ha in pratica detto che le pochissime donne presenti nel “Gruppo strategico” e nei “Tavoli di lavoro” sono più che sufficienti. Quante e chi siano non ha voluto indicarlo: né una cifra, né un nome, né una competenza. Insomma, per il nostro governo non serve una maggiore (e non dico paritaria, per non esagerare…) partecipazione femminile per gestire il futuro economico del Ticino. Bastano le forze (maschili) che già ci sono.
A nulla è servito vedere che nei sette Paesi più virtuosi in periodo di coronavirus, sono state le donne a indirizzare e guidare la politica. A nulla serve sapere che da una ricerca Consob-Bocconi in Italia, banche e settori finanziari hanno meno rischi e, soprattutto, maggiore redditività se a guidarle sono donne. Non è quindi una questione di equità, di giustizia sociale o di parità, anche se questi motivi già potrebbero bastare: è anche una questione di vantaggio economico. Detto in altri termini, se gli uomini continueranno a gestire i vertici dell’economia e della finanza escludendo le donne, le aziende e le banche guadagneranno meno di quanto potrebbero farlo con una maggiore presenza femminile.
E così, con la fase 3 della quasi normalità, gli uomini sono tornati sul loro posto di lavoro, e le donne a svolgere la loro doppia o tripla professione di casalinga, madre e lavoratrice.
Tutto deve ripartire. Tutto deve ricominciare. Tutto deve cambiare, perché nulla cambi.