Se da una stanza sgorga pura bellezza

il diario di Françoise Gehring

Questa è la mia lettera al mondo che mai non scrisse a me (poesia n. 441)
Emily Dickinson, Poetessa americana, 1830 – 1886

Anni fa, era forse il mese di gennaio, mi ero precipitata in libreria. Era appena stato pubblicato l’Herbarium di Emily Dickinson. Un libro grande, avvolto in una solida copertina rivestita di tela, che ci fa entrare nel giardino di Emily. Quel giardino che lei vedeva dalla sua finestra e che le raccontava dell’alba, del tramonto, del ciclo della vita, degli anni che passano, degli amori sfioriti senza mai essere veramente sbocciati. 

Quel giardino pieno di fiori – da lei molto amati e mirabilmente raccontati in versi – che riempiva i suoi occhi e che al tempo stesso la spingeva a guardare oltre, lontano, verso orizzonti irraggiungibili, ma non per questo improbabili. 

«Per conoscere il mondo e le sue verità non è necessario uscire dalla propria stanza e dal giardino», ci dice Emily Dickinson. E da quella stanza, parte una delle sue più celebri poesie, la sua “lettera al mondo”, incipit di questo mio breve testo. Quasi tutti i testi della poetessa statunitense sono composti nella casa di famiglia, dove Emily Dickinson sceglie di vivere isolata, rinchiusa nella propria camera. 

Da sempre una delle mie predilette compagne di viaggio, con le sue poesie Emily Dickinson è in qualche modo un antidoto all’aridità e un invito al coraggio: essere se stesse. Radicale nelle sue scelte, lucida, misteriosa, inafferrabile, autoironica, austera, sensuale; insomma, tremendamente complessa: come me, come tante altre, come chi è sempre alla ricerca di qualcosa, di un altrove, in cui – forse – la vita scritta e la vita non totalmente vissuta, si fondono e si confondono.

Emily Dickinson ha dato voce al silenzio, con poesie vibranti, che ti parlano, ti interpellano, senza mediazioni. Nei suoi versi c’è quasi sempre un io, un tu, un voi: le sue poesie sono spesso lettere, come lei stessa annuncia (nella poesia numero 441): Questa è la mia lettera al mondo/che mai non scrisse a me

Solitaria e appartata – disse ad un’amica “Una porta chiusa a chiave è la libertà” – Dickinson ha scolpito la parola poetica con amore, ostinazione, precisione.

Parole in cui io cerco – e trovo – forza e ristoro, abbagliata dalla loro bellezza: 

(883)
Accendere una lampada e sparire –
questo fanno i poeti –
ma le scintille che hanno ravvivato –
se vivida è la luce
durano come i soli –
ogni età una lente
che dissemina
la loro circonferenza 

E ancora

(1619)
Non sapendo quando l’alba verrà,
apro tutte le porte –
che abbia piume, come un uccello,
o onde, come una spiaggia –
(252)
Posso guardare il dolore –
a interi laghi -
ci sono abituata –
ma la minima spinta di felicità
mi ferma i piedi –
e barcollo – ubriaca –
nessun ciottolo – sorrida –
era liquore nuovo –
tutto qui! 

Parole, quelle di Emily Dickinson, come balsamo, come rinascita o risurrezione. Vive e non scalfite dal tempo. Quel tempo che scorre inesorabile e che a me pare così crudele.

Ma la poesia è capace anche di riconciliazione. Soprattutto in questi momenti di emergenza sanitaria. Un’emergenza che chiede a tutti noi di stare a casa. Cogliamo l’occasione per scoprire che in tutti noi c’è un giardino segreto pieno di risorse.