Matite magiche

il diario di Natalia Ferrara

Ci si abitua anche alle abitudini. Anche quelle nuove, che dopo oltre un mese che pare un anno, sanno già di vecchio. Si familiarizza con la solitudine, ci si estranea anche da chi vive a pochi metri da noi, ci si guarda intorno spaesati, come se non si conoscesse a menadito la propria casa, palmo a palmo.

Per svegliarsi da quel sonno diurno non ho trovato metodi razionali, brillanti e sorprendenti. Ho pensato allora ad un pungolo. Un pizzicotto alla coscienza. Un sottile sortilegio per bucare la bolla in cui ci si infila certi giorni e da cui si fatica ad uscire. E mi sono detta perché non condividere questa scoperta con il resto della casa? Allora, in una sera qualsiasi di quarantena, per spezzare la cantilena della reclusione, dell’esclusione dal mondo e anche da sé stessi, ho donato a ciascuno in casa una matita magica. Ben appuntita – per solleticare la mente, colorata – per affrontare le pagine bianche che ci attendono e decorata – per ricordarsi che la bellezza ci salverà, sempre, e dunque meglio lavarsi, profumarsi e prendersi cura di sé.

Ora ognuno di noi ha la sua matita magica. Ognuno ne fa ciò che vuole, Matteo non la usa certo come ferma capelli, Claudia così brava a disegnare, non la sprecherà. Io la faccio girare come una trottola fra le dita e mi ripeto che, nonostante tutto, la possibilità di delineare un futuro diverso è nelle nostre mani. Il “dopo” si sente spesso, ma quanto lo si abbozza davvero? Il “dopo”, in effetti, può essere paralizzante. Una pagina bianca tutta da scrivere che rischiamo di sprecare in molti appiccicandoci una fotocopia del “prima”. Perché siamo annoiati, preoccupati e spesso tristi, e non a tutti la vena creativa pulsa sulla sofferenza. Anche il mio sangue pare piuttosto tiepido, certi giorni. Passo da momenti di euforia dove canto la Nannini e cucino piatti della nonna a ore di apatia affogata nell’angoscia. Ancora non so se sarò capace di scrivere pagine che valga la pena leggere, anzi, vivere. Ma lo farò. Non mi limiterò a ripetere abitudini di un “prima” che tanto non torna (e per certi aspetti, per fortuna). Proverò a costruire un itinerario che finalmente tenga conto del mio tempo di marcia, affinché possa essere, di quando in quando, una maratona, e non solo un sprint. Che non mi consumi i piedi più delle scarpe, che mi permetta di godere anche del paesaggio senza mirare con ossessione alla meta. 

Se c’è una cosa che pretende d’insegnare questa pandemia, è la pazienza. E allora paziento in attesa della pazienza, che, per ora, è solo un desiderio, domani, chissà.