La pandemia in un caleidoscopio

il diario di Marialuisa Parodi

Ho appena rivisto Eight Days a Week di Ron Howard, un grande regista che,  per noi ragazzi degli  anni ’80, sarà comunque sempre Richie Cunningham di Happy Days. 

I  miei genitori erano ragazzi degli anni ’60, e l’atmosfera dei  Beatles  è quella che  ho respirato durante  l’infanzia. Musica, colori e fantasie; mica solo su minigonne e tappezzerie, era fantasia a gogo tutto intorno a te,   l’arcobaleno dappertutto. 

Poi sono arrivati miei anni ’80 e l’arcobaleno si è trasformato in paillettes,  che hanno retto quello che hanno retto, ma allora mica lo sapevamo e comunque luccicavano. 

Vedere  Eight Days la prima volta mi era costato un bel po’ di magone, pensando che per i miei figli, per i ragazzi del 2020, di arcobaleno e paillettes manco l’ombra. 

Ma questa volta no; l’esperienza della quarantena mi ha fatto  riconsiderare tutto: ho capito che dentro i ragazzi del 2020 c’è un caleidoscopio. 

Quando  mio figlio maggiore   è rientrato dall’Università, a metà marzo, noialtri tre eravamo già in lockdown da una  settimana. Per   prudenza,  abbiamo deciso di mangiare in sala per stare un po’ più larghi.  

E’  stata la cosa più bella di sempre. La cucina è stata relegata al solo  ruolo di  fucina  (che non si fa in tempo a sfornare ed è già tutto mangiato – ai caleidoscopi servono molte energie) e due volte al giorno ci ritroviamo in  pompa magna. 

Ciascuno molla la sua appendice tecnologica e raggiunge  la grande tavola, con la tovaglia anziché le tavolette  sottopiatto, le candele ricevute in regalo negli anni finalmente  accese, fiori freschi di una primavera  rigogliosa come  non si vedeva da anni. E’ la nostra forma di bellezza casalinga, una bolla d’affetto che induce a complimentarsi con  chi ha cucinato, non sempre in piena onestà, e soprattutto a chiacchierare. Chiacchiere  che hanno tempo e giorni davanti, non finiscono, semmai si sospendono,  ricordi e futuro, racconti e domande.  

Basterebbe questo dono inaspettato per benedire la quarantena di noi genitori. Ma  c’è di più, perché i  caleidoscopi sono una fonte inesauribile di meraviglia, che ci ha contagiato di  misteriosa serenità. I nostri amici dicono la stessa cosa, tutti i  ragazzi del 2020, mica solo i nostri,  hanno un  caleidoscopio dentro.

Osservano la  pandemia  con occhi attenti ma distaccati:  sanno tutto sui  numeri del virus nel mondo, ma nulla dei  contorni  mediatici  ad alto tasso di  deperibilità. Si sono adattati alla nuova vita senza un lamento, perché sentono la responsabilità verso il prossimo. Non cambiano i  loro piani né  temono di doversi adattare  alle circostanze, si farà senza patemi se e quando  necessario.  

E a me sembra un miracolo. Noi  ragazzi degli anni ’60 e ’80,  chiusi in casa e senza  amici,  ci saremmo consumati dalla disperazione di non poter rincorrere  arcobaleni e paillets. Invece, i ragazzi degli anni ’20 non dubitano che  nuovi petali colorati, ordinati e sorprendenti, appariranno al momento giusto davanti ai loro occhi.

 Una  certezza che dovrebbe contagiare tutti e ci farebbe tanto bene.